critical essay

saggi critici

Medea exhibit in the gardens of San Liberato in Bracciano

Medea esposizione ai giardini di San Liberato a Bracciano

Le opere che sono esposte fanno parte di uno studio preliminare ispirato
alla tragedia di Meda su cui lavoro da alcuni anni

La tragedia

Dalla mente del grande tragediografo greco Euripide, si dipana il dramma di Medea, capolavoro di analisi psicologica femminile, fin nel lato più oscuro e devastante dell'amore e della passione. Presentata sulla scena nel 431 a.C., fu giudicata negativamente dai giudici ateniesi - anche se successivamente, nel IV secolo a.C., l'attenzione rivolta ai valori umani, piuttosto che a quelli eroici, portò ad una rivalutazione della tragedia - probabilmente per lo sgomento lasciato sul pubblico dalla vicenda: per i Greci dell'età di Pericle, infatti, l'infanticidio si collocava tra i crimini più mostruosi ed inaccettabili dell'indole umana. Sebbene la versione pre-euripedea del racconto presenti una storia ben diversa, in cui i figli di Medea vengono lapidati dal popolo di Corinto, a causa delle arti magiche della madre (presunta colpevole della peste che aveva colpito la città), Euripide sceglie di rappresentare il dramma della donna tradita in tutta la sua grandezza, senza timore di dover raggiungere il fondo più misero dell'abiezione umana. (Francesca Sartori)

L'interpretazione del mito

Attraverso la lettura dell'opera di Corrado Alvaro e di Crista Wolf, ho scoperto l'attualità
della condizione di Medea. Corrado Alvaro nell'opera: "la lunga notte di Medea" concepisce Medea come una donna che ha subito persecuzioni razziali, sacrifica i figli per non esporli alla sua stessa sorte, li uccide per salvarli; quelle donne, che respinte dalla loro patria ''vagano senza
passaporto da nazione a nazione, popolano i campi di concentramento
e i campi profughi» I Corinti che allontanano Medea, sono il simbolo del pregiudizio e dell'intolleranza. Crista Wolf nel suo romanzo "Medea-Voci" la rappresenta invece come straniera e barbara che non rispetta
le convenzioni, libera e schietta, e per questo sarà bandita da Corinto. La scrittrice tedesca assolve Medea, consegnandoci una madre premurosa, ingiustamente accusata di un crimine che non ha commesso; cosi racconta la Wolf: "ho cominciato a interessarmi a Medea nel 1990. lo stesso anno in cui la DDR (repubblica democratica tedesca) stava sparendo dalla storia; ho cominciato a domandarmi perché nella nostra società tutto viene consumato e nello stesso tempo si va alla ricerca di un capro espiatorio. Euripide per primo attribuisce a Medea
l'infanticidio, mentre, fonti antiche, descrivono i tentativi di Medea di salvare I tre figli portandoli al santuario di Era. Fin dall'inizio pensavo che Medea fosse troppo legata alla vita per aver voluto uccidere i propri figli. Non potevo credere che una guaritrice, un'esperta di magia, originata da
antichissimi strati del mito, dai tempi in cui i figli erano il bene supremo di una tribù, doveva uccidere
i propri figli." In un'epoca come la nostra incerta e confusa, ma forse proprio per questo ancorata ad alcune certezze (ideologia, credo religioso ecc.), la Wolf mette in discussione
la funzione rassicurante del mito nella cultura contemporanea. La tragedia di Medea è la più controversa tra le tragedie greche, Medea, è anche la più moderna nella sua autentica disperazione e nella sua perenne vitalità. Proprio per questo, il dramma permette nuove forme di lettura e rappresentazione, facendosi carico di esprimere le patologie della civiltà contemporanea

Francesco Rinaldi

Nel pur vasto panorama dell'esperienza estetica contemporanea non sorprenda il rilevante grado gerarchico assunto dall'arte fotografica, essendo essa il risultato combinato di percezione visiva, di abilità tecnica, ed infine, di provata capacità creativa. La fotografia, ben si comprende, al pari di ogni altra forma d'arte, è un mezzo interpretativo per esprimere noi stessi; l a macchina fotografica non è che lo strumento che ci consente di esprimere un aspetto della nostra sensibilità o meglio, del nostro modo di "dialogare" con la realtà che ci circonda, traendone da essa essenza e varietà immaginativa. Ci vuole un'abilità assai modesta per puntare l'obiettivo su un soggetto e scattare una fotografia. Ma per ottenere fotografie vagamente degne di apprezzamento critico, come nel caso di quanto ha realizzato Francesco RINALDI, bisogna tener conto della indiscutibile consapevolezza di alcuni fattori incidentali: l'inquadratura o taglio dell'immagine da fotografate la non consuetudinaria selezione dei soggetti da riprendere, la imponderabilità dell'atto visivo, composto da nterventi sensoriali e mentali e psichici, come l'inventiva, l'ispirazione, l'immaginazione. Ad essi, buon ultimo, ma certamente non secondario, il fattore ri - creativo, che consegue quel gradiente qualitativo in più e che permette di interiorizzare il modello naturale e ripresentarlo del tutto nuovo, cioè originale. E' questo dato sensibile, proprio di una matura esperienza estetica, a costituire quella particolare e preziosa peculiarità genetica del dato fotografico, tale da renderlo, infine opera d'arte. La gente crede nella verità pittorica implicita in ogni foto: la "macchina fotografica non sa mentire". D'altra parte è bene precisare, a riguardo, che ottenere esiti rappresentativi che ricalchino fedelmente e integralmente il cosiddetto "vero" non basta più. Lo dimostra, con rara sensibilità d'artista l'autore di questa mostra fotografica in cui fantasia ed elevata educazione visiva si alleano felicemente in unicum di pregnante impatto emotive, in cui la nota stilisticamente autoctona del "ritratto" cede sovente, il passo ad una intensa e commossa partecipazione lirica, in cui sogno e memoria si trasfigurano in emblemi di una ricerca poetica.
(Nicola Bellezza)